domenica 16 marzo 2008

Possiamo cioè pensare a uno stato per gli ebrei che non sia uno stato ebraico?

Mia figlia Milca mi manda questa interessante lettera e col suo permesso la pubblico.

Ieri, 9 Marzo, era Yom Kwutzà, e abbiamo dedicato la giornata al sistema politico in Israele. Tra le tante cose interessanti che ho scoperto, o approfondito, mi sono imbattuta in qualche accenno in più riguardo il partito Chadash, in ebraico Nuovo.

E’ il partito più piccolo di tutta la Kenesset, il parlamento, e, con i sui 3 seggi su 120, è secondo solo a Meretz, che ne ha 5 ed è il partito cui è legata l’Hashomer Hatzair israeliana.

Chadash è il partito comunista e al suo interno vi sono israeliani sia ebrei che arabi. Chadash si autodefinisce partito antisionista: Israele ha il diritto di esistere ma non deve essere uno stato ebraico, in particolare deve essere uno stato che al suo interno non fa distinzione tra ebrei e arabi (o forse sarebbe meglio dire mussulmani, visto che molti degli stessi ebrei sono arabi).

Mi sono chiesta se potrei mai votare per questo partito..

Non so precisamente cosa implichi, nel progetto politico di Chadash, questo principio, ma in esso vedo qualcosa di condivisibile. Da una parte, infatti, riconosco che, in quanto stato ebraico, Israele non potrà mai essere una piena democrazia. L’idea stessa di stato ebraico è fondata su un principio razziale che, nella pratica, discrimina positivamente il cittadino, o potenziale cittadino, ebreo, rispetto a chiunque altro abiti o voglia abitare in Israele.

Mi riferisco ad esempio, al diritto di ritorno, o al criterio per il qual viene assegnata la cittadinanza, o, più banalmente, ad istituzioni come l’agenzia ebraica.

D’altra parte riconosco Israele come una dolorosa necessità. In un mondo che solo 70 anni fa ha prodotto Hitler, gli ebrei hanno bisogno di uno stato in cui vivere sicuri e che sia in grado di proteggerli. E riconosco anche, pur senza condividerla a pieno, l’esigenza sionista che, come tutte le altre forme di nazionalismo, è un prodotto storico e mira alla formazione di uno stato nazionale: anche gli ebrei, in quanto popolo, hanno diritto al proprio stato.

Ora mi chiedo: se non possiamo fare a meno di Israele, possiamo concepire un Israele diverso da quello che è­­? Possiamo cioè pensare a uno stato per gli ebrei che non sia uno stato ebraico?

1 commento:

GIOELE ha detto...

Ieri sera ho visto Vai e Vivrai.
Vengono trattati due temi centrali per Israele.
Il criterio religioso per avere la cittadinanza ed il potere dei religiosi.
Il potere dei religiosi sulla societa' civile sara' anche grande ma mi dicono che una coppia lesbica possa adottare un bambino e che a Tel Aviv ci sia il piu' grande Gay Pride del mediterraneo.
Il nodo centrale restano i vincoli religiosi all'immigrazione.
Quando nella lettera di Milca leggo la parola doloroso non so bene a cosa lei si riferisca.
Ma il dolore a me viene dal fatto che se venissero tolti questi criteri e fosse ammessa una immigrazione indiscriminata Israele cesserebbe di esistere e diventerebbe come i paesi circostanti.
E d'altra parte se Israele non riesce a sviluppare una politica di accoglienza viene a mancare la sua vera missione.
Questa missione non e' affatto quella di risarcire gli ebrei per la scioa' in quanto tale risarcimento sarebbe stato piu' adeguato in Baviera e non e' neppure la creazione di uno stato come espressione di una nazionalita' omogenea.
Per me questa missione e' la capacita' di accogliere la diversita' senza perdere la propria identita' in un brodo universalistico.
Il film sui falascia' e' molto interessante perche' qui gli 'stranieri' sono ebrei o quasi e perche' i numeri sono cosi' piccoli che non si pongono problemi economici o demografici.
E' come essere in laboratorio.Il fenomeno viene visto allo stato puro.
Perche' la strada che porta dai quasi ebrei ai quasi quasi ai non e' molto breve.
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NON PERDETEVELO